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Montesilvano e debiti del 1711

All'epoca, 1600/1700, Montesilvano apparteneva al Regno di Napoli e come tutto il sud, subiva una certa pressione fiscale, eredità della politica a vantaggio dei feudi di Alfonso Il Magnanimo (1396-1458). Dazi e dogane a favore dello Stato erano aggravati da un nuovo salasso che veniva chiamato arrendamenti, un invenzione spagnola, che permetteva al Regno di poter coprire i debiti appaltando la riscossione dei dazi ai creditori dello Stato. La popolazione di tutto il Regno era impoverita e nonostante ciò le tasse aumentavano. Nel 1647 il governo emise una tassa sulla frutta, scatenando una ribellione che obbligò lo Stato ad abrogarla. In pochi, però sapevano che i soldi di quelle tasse risparmiati sarebbero stati cacciati in egual misura per pagare il sovrapprezzo sugli arrendamenti.

Come si suol dire: da qualche parte i soldi devono uscire.

 

Se i commercianti venivano tassati dallo Stato, i contadini campavano un'altra classe, il clero, che era, nonostante gli ingenti emolumenti riscossi, esentata dal pagamento tributi.

 A tutto questo si deve aggiungere un'altra nota dolente della vita pubblica del Regno, la giustizia. Tutto il sistema era ancora di tipo feudale. Il feudatario, però, non riusciva tenere sotto controllo le sue Universalitas (Villaggi e terreni), così nominava un Governatore che fungeva da amministratore di giustizia.

Alfonso il Magnanimo nella sua riforma legislativa varò un sistema normativo, le quattro lettere arbitrarie, che concedeva al feudatario, tra gli altri poteri, di commutare in pena pecuniaria la pena detentiva.

Questa facoltà creò le condizioni sia nelle cause civili, sia nelle cause penali per un commercio di giustizia che in questa epoca raggiunse il suo acme. All'epoca la bustarella, che aveva un nome più discreto, sportula, succhiava tutte le sostanze al meno abbiente e privilegiava i benestanti esentandoli dalla galera, anche se colpevoli di crimini orrendi, e di condanna.

Sin dalla riforma di Alfonso Magnanimo, per il controllo fiscale, venivano inviati emissari direttamente dal Regno, preposti al conteggio equo delle gabelle. Successivamente la pratica venne spesso affidata, per funzionalità o imperizia, al feudatario che alla fine la delegò al governatore.

Una strana usanza, destinata a perdurare si affacciava nel tormentato sud: quando il governatore non veniva pagato dal feudatario si rifaceva sulla popolazione aumentando le sportule.

 

Montesilvano, tra la fine del 1600 e l'inizio del 1700 è inserita in questo quadro economico.

 

Apparteneva al feudo del Barone Figliola, che, nel 1711, per evitare il commissariamento dei fiscali del Regno, fu costretto a effettuare una ricognizione per verbalizzare i beni, gli emolumenti, la documentazione fiscale, ricostruzione catastale (sin dal 1195) della Universalitas.

Questo non bastò a Montesilvano che, stanca dei soprusi finanziari, nello stesso anno, richiese a furor di popolo una ricognizione pubblica fiscale direttamente al Regno, forse nella speranza di diminuire il continuo salasso a causa degli arrendamenti, delle gabelle del Barone e infine, delle tasse dello Stato.

 La ricognizione pubblica si rivelò importante per il Regno che poté definire la situazione debitoria pari a “925 ducati e 80 grana” a fronte dei 341 riscuotibili, nel 1711, da Montesilvano. Il Regno di Napoli per fortuna del barone, era troppo disorganizzato per riparare alle “inadempienze” fiscali dei feudi e così chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato...

della popolazione che continuò a lavorare per campare il clero, lo Stato, i fiscali e il feudatario.

Questa situazione cristallizzata, probabilmente, contribuì a gettare i semi del brigantaggio, ma questa è un'altra storia.

 

Osvaldo Galli, Montesilvano - Assenso di Filippo V (1711), Assenso dell'imperatore Carlo IV (1714), La platea di tutti i beni (1770)

 

chiacchiere da ape

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