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Il “Genocidio degli Armeni”. Dyer " questione complicata"

Politica

di Sara Francesca Medas

Il 24 aprile sarà il 100° anniversario per la commemorazione delle vittime armene, Papa Francesco, in riferimento alla strage del 1914-15, ha parlato di primo “genocidio” del '900, alludendo a delle concordanze con l'altro genocidio tristemente famoso, scatenando irritazione e tensioni nei rappresentanti turchi. L'ambasciata della Turchia presso la Santa Sede giudica "inaccettabile" quanto detto dal Papa, "il genocidio è un concetto giuridico le rivendicazioni non soddisfano i requisiti di legge, anche se si cerca di spiegarle sulla base di una diffusa convinzione, restano calunnie".

Sempre l'Ambasciata aggiunge che il Pontefice "nella sua dichiarazione si riferisce ai tragici eventi che hanno avuto luogo in Bosnia e in Ruanda come 'omicidi di massa', che sono riconosciuti come genocidi dai tribunali internazionali competenti. Egli, tuttavia, chiama gli eventi del 1915 un 'genocidio' nonostante l'assenza di tale sentenza del tribunale competente. Questo è significativo. Non è possibile spiegare questa contraddizione con i concetti di giustizia e di coscienza", l'accusa è dunque che il concetto di Genocidio sia utilizzato “politicamente”.

Il dibattito accesso sul “genocidio”, mai sopito e ora sotto i riflettori, si basa primariamente sulle implicazioni politiche connesse al termine.

La parola Genocidio fu coniata in forma ingl. (genocide) dal giurista polacco R. Lemkin nel 1944 e pubblicamente usata nel processo di Norimberga (1946) in riferimento allo sterminio degli ebrei. Con genocidio si intende il “grave crimine consistente nella metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui, la dissociazione e dispersione dei gruppi familiari, l’imposizione della sterilizzazione e della prevenzione delle nascite, lo scardinamento di tutte le istituzioni sociali, politiche, religiose, culturali, la distruzione di monumenti storici e di documenti d’archivio, ecc.” (dal vocabolario Treccani)

Il concetto di genocidio, ovvero di metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, è utile per analizzare il contesto storico.

L'espressione "Genocidio Armeno" sta ad indicare due periodi storici:

- 1890.

Gli armeni diedero vita ad un movimento d'indipendenza, desideravano infatti staccarsi dall'Impero Ottomano, in questa loro sollevazione erano sostenuti dalla Russia che sperava di trarne vantaggio in termini di annessioni territoriali.

Per reprimere il movimento autonomista il governo ottomano incoraggiò e infuocò le ostilità tra curdi e armeni.

Inizialmente il rapporto tra questi due popoli non era ostile, e nonostante la radicale differenza di orientamento religioso ufficiale (Armeni/cristiani – Curdi/musulmani) le loro diversità etniche conducevano una pacifica vita in comune. I toni ostili cominciarono a presentarsi con i secoli di guerre Russo-Turche. Queste nazioni usarono i due popoli come miccie dinamitarde da scagliare l'una verso l'altro, lo zar fomentò l'orgoglio nazionale degli Armeni promettendo di istituire uno Stato Armeno, l'Impero Ottomano invece promise ai Curdi un principato curdo indipendente sotto la sua protezione ed infuse sentimenti anti-armeni.

Il problema era che gli armeni vivevano in territorio ottomano e dunque dovevano sottostare a tutta una serie di ingiustizie e crudeltà che ai curdi venivano risparmiate, in quanto fedeli all'impero, creando così un'ostilità divenuta da politica ad etnica.

L'inasprirsi del regime fiscale, l'oppressione e l'ingiustizia fecero insorgere gli armeni fino all'occupazione della banca ottomana, ma l'Impero affiancato dalle milizie irregolari curde represse nel sangue le rivolte (1890-1896). La cifra delle vittime armene non è ben calcolabile, a seconda delle fonti si contano 50.000, 200.000 o 300.000 morti.

L'Impero Ottomano era ormai indebolito e nel 1876 il movimento nazionalista denominato “Giovani Turchi” era riuscito ad ottenere dal sultano una prima Costituzione, mirata a rendere l'impero ottomano una Monarchia costituzionale, anche se due anni dopo il sultano ritrattò. Nel 1908 i Giovani Turchi, ormai molto influenti, ottennero la legittimazione della costituzione redatta nel 1876.

Nel 1909 i Giovani Turchi, rappresentati dal partito "Ittihad ve Terakki" ("Unione e Progresso"), con un colpo di stato instaurarono una dittatura militare.

Il partito basava i suoi principi sull'ideologia del “Turanismo” che promuoveva l'unione e il "rinascimento" di tutti i popoli turanici, ideologia del tutto simile all'Arianesimo e con le medesime implicazioni, le minoranze erano inaccettabili.

Nel 1909 furono 30.000 gli armeni uccisi nei primi massacri.

La situazione politica era complessa, quello stesso partita nazionalista ed insofferente verso le minoranze armene, collaborava inizialmente col movimento degli indipendentisti armeni. Pare che questa alleanza sopravvisse fino al 1911, quando poi avvenne una definitiva separazione.

Il 29 ottobre 1914 la Turchia entrò nel Primo Grande Conflitto al fianco degli Imperi Centrali (Germania, Impero Austro-Ungarico, Turchia e Bulgaria), rimediando subito una sconfitta contro la Russia durante l'occupazione dell'Azerbaijan.

- 1915/16.

L'anno successivo l'esercito Turco subì un'altra sconfitta importante contro i Russi nei pressi dei confini con l'Armenia, furono accusati della sconfitta gli irregolari armeni che si sarebbero uniti al nemico durante la battaglia.

Questo fatto e i finanziamenti all'Armenia da parte della Francia che incitava alla rivolta, fece scattare la seconda fase dello sterminio armeno.

Tra il 23 e il 24 aprile 1915 ci furono i primi arresti nell'élite armena, più di mille intellettuali armeni, furono deportati verso l'interno dell'Anatolia e massacrati lungo la strada.

Agli arresti e alle deportazioni seguirono le “Marce della morte” che vedevano gli sfollati armeni camminare nel deserto siriano fino alla morte, vittime della fame, della sete, e di ogni tipo di violenze e crudeltà.

Come testimonianza di queste “marce della morte” ci sono le crude foto di Armin Theophil Wegner, attivista dei diritti umani presente durante le deportazioni.

La conta delle vittime anche in questo caso dà risultati differenti e non c'è modo di sapere la verità sul numero di morti, in ogni caso enorme.

Le comunità armene in Europa, stimano che il numero dei morti si aggiri intorno a 2.500.000; lo storico-filosofo inglese Arnold Toynbee, presente in Armenia al tempo del massacro, stimò 600.000 morti su una popolazione iniziale di all'incirca 1.800.000 persone; la cifra generalmente riconosciuta oggi è di 1.500.000 (due terzi della popolazione armena nel 1890).

La ricostruzione storica di Gwynne Dyer

È interessante la ricostruzione di Gwynne Dyer, giornalista canadese, che sulla base delle proprie ricerche sottolinea come il massacro del popolo armeno sia una questione assai complicata.

Dyer racconta della sua ricerca di documenti di prima mano riguarda all'evento:

“Molti anni fa, quando ero un dottorando in storia e stavo facendo alcune ricerche sul ruolo della Turchia nella prima guerra mondiale, andai negli archivi dello stato maggiore turco ad Ankara e trovai i telegrammi originali (scritti nell’antico stile calligrafico riq’a) scambiati tra Istanbul e l’Anatolia orientale nella primavera del 1915. In seguito ho esaminato i documenti britannici e russi relativi ai piani di azione congiunta con i rivoluzionari armeni nella primavera del 1915, e posso quindi dire di conoscere anche il contesto nel quale turchi e armeni si muovevano. E posso dire con una certa sicurezza che entrambe le parti si sbagliano.”

Continua poi affermando che “oggi gli armeni sostengono che le vittime furono un milione e mezzo, ma è una cifra troppo alta. Quella corretta potrebbe essere anche di mezzo milione, ma ottocentomila è una stima plausibile. D’altra parte, gli armeni vogliono assolutamente che la loro tragedia sia messa sullo stesso piano del tentativo dei nazisti di sterminare gli ebrei europei, e non si accontenteranno di niente di meno. Ma ciò che è accaduto agli armeni non è stato pianificato dal governo turco, e da parte armena effettivamente c’era stata una provocazione. Ciò non significa neanche lontanamente che sia possibile giustificare cosa è accaduto, ma mette i turchi in una posizione un po’ differente.”

Dyer afferma che dal 1908 i Giovani Turchi avevano il controllo dell'Impero Ottomano, il governo era entrato in guerra al fianco della Germania e non faceva altro che riportare sconfitte.

L'esercito turco fu distrutto in uno scontro contro la Russia vicino alla città di Kars, dove solo un decimo dei soldati sopravvisse, dando il via ad una ritirata confusa.

Ma i Russi non finirono i propri nemici, e nonostante l'esercito Turco fosse ormai allo stremo riuscì a rimettere in piedi le sue linee.

Alle loro spalle, l'Anatolia orientale, dove gli Armeni cristiani che da secoli non aspettavano altro che il giusto momento per riprendersi l'indipendenza, pregavano per la loro sconfitta.

Gruppi di rivoluzionari armeni difatti stavano in contatto con Mosca, pronti a scatenare rivolte alle spalle dell'odiato esercito turco, non appena le truppe russe avessero sfondato le fila dei soldati rimasti. Ma i rivoluzionari sentendo che l'esercito turco era in ritirata, non aspettarono l'arrivo dell'alleato e agirono prima del tempo.

Questa era la situazione ad est, ma le circostanze che interessarono i rivoluzionari armeni del sud assunse tragicamente gli stessi tratti, aspettavano l'esercito britannico per scatenare un'insurrezione in corrispondenza con lo sbarco degli Inglesi, ma all'ultimo momento questi decisero di attaccare molto più ad ovest e alcuni rivoluzionari armeni non ricevettero la comunicazione, scatenando le rivolte ma senza l'appoggio degli alleati.

Questa situazione gettò il Governo Turco nel panico, se i Russi fossero riusciti ad entrare nell'Anatolia orientale avrebbero perso una consistente fetta dei propri territori arabi.

Dyaer afferma dunque che “per questo ordinarono la deportazione di tutti gli armeni nell’est della Siria, attraverso le montagne, d’inverno e a piedi, dato che non c’era ancora una ferrovia. E poiché non c’erano soldati regolari disponibili, furono soprattuto le milizie curde a scortare gli armeni verso sud” -aggiunge che- “per quanto non sia chiaro fino a che punto il governo turco fosse informato di questa tragedia, di certo non fece nulla per fermarla.”

Conclude dicendo che a suo parere “fu un genocidio commesso attraverso il panico, l’incompetenza e l’incuria deliberata, ma non può essere paragonato a quanto successe agli ebrei europei. La numerosa comunità armena di Istanbul, lontana dalle operazioni militari in Anatolia orientale, uscì dalla guerra quasi indenne.”

 

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