Interviste
L'intervista
di Antonio Bini
Herbert Grabe, fotografo e tour operator lontano dal turismo di massa, ha voluto raccontare il rapporto pastori/paesaggi attraverso una selezione di scatti realizzati nel corso di una trentennale frequentazione delle montagne abruzzesi attraverso la mostra – intitolata “Transumanza: Kultur und Natur der Schäferei in den Abruzzen” (Transumanza: cultura e natura della pastorizia in Abruzzo) che si tiene a Regensburg (l’antica Ratisbona) - dal 25 ottobre al 14 novembre 2015.
L’impiego della parola italiana, anche se in tedesco esiste il corrispondente vocabolo di transumanza (transhumanz), intende proprio sottolineare la leggendaria e millenaria pratica delle trasmigrazioni dei pastori abruzzesi verso il Tavoliere delle Puglie, attraverso la vasta rete tratturale di un tempo. La mostra è allestita nel ristorante “Leerer Beutel”, nel centro storico di Regensburg, che nel periodo dell’esposizione proporrà, oltre al consueto menù, piatti e prodotti abruzzesi.
Abbiamo rivolto qualche domanda ad Herbert Grabe, per comprendere meglio lo spirito della mostra.
D. Come nasce il suo interesse sul tema ?
R. Sin dal mio primo viaggio in Abruzzo sono rimasto colpito dalle montagne e dal mondo pastorale. Ho quindi approfondito il tema della transumanza. Quella orizzontale, praticata per secoli, soprattutto verso il Tavoliere, dopo aver attraversato il Molise, non esiste più da tempo, ma rimane una residua transumanza verticale.
D. Ho quasi l’impressione che nel suo girovagare tra le montagne immagini ancora la presenza di pastori e sterminate greggi come doveva essere fino all’Ottocento ?
R. Si. Per me montagne e pecore sono ancora qualcosa di inscindibile in Abruzzo. Ci sono borghi e paesaggi che conservano ancora reliquie della cultura pastorale. La pastorizia del passato ha lasciato un’influenza enorme sul piano sociale e culturale. Basti pensare ai tholos della Maiella.
D. La crisi dell’economia pastorale ha portato negli anni a fenomeni quali l’emigrazione e l’abbandono delle aree interne. Cosa rimane di quel mondo ? –
R. Sono ormai pochissimi quelli che lavorano come hanno sempre fatto, seguendo natura e tradizioni. Conosco un certo numero di pastori abruzzesi o persone che vivono della pastorizia. Tra questi Gregorio Rotolo di Scanno, Nunzio Marcelli e Manuela Cozzi di Anversa degli Abruzzi, Giulio Petronio di Castel del Monte. Ho grande rispetto per questo duro lavoro, oggi svolto anche da diversi pastori provenienti dai Balcani. Ho voluto ricordare questo mondo con la mostra che celebra il ventennale della promozione dell’Abruzzo come Herde und Wind (Terra e vento), tour operator specializzato nel turismo ambientale.
La stampa tedesca si è occupata della mostra con articoli in cui si esprimono considerazioni interessanti. In particolare, Florian Sendten sul quotidiano Mittelbayerische del 21 ottobre, nel richiamare alcuni episodi di allarme per isolate presenze del lupo segnalate in alcune aree della Germania, esalta il mito dei pastori abruzzesi, pastori di razza, abituati a convivere quotidianamente con i lupi e le intemperie. L’articolo è accompagnato dalla foto di Gregorio Rotolo, che rappresenta, insieme a Nunzio Marcelli, non più l’immagine pittoresca del pastore abruzzese, ma quella di personaggi autentici, i quali esprimono la presenza residuale di esempi di compassata fierezza, di robustezza fisica, umanità e saggezza, pressoché in continuità con l’immaginario mondo dei viaggiatori romantici del Grand Tour, che continua ad esercitare, forse anche inconsapevolmente, la sua influenza anche sui viaggiatori del terzo millennio, in particolare di quelli che si sono lasciati alle spalle i modelli propri del turismo di massa.
Herbert Grabe, affascinato dal paesaggio abruzzese nella primavera del 2012, volle difendere il territorio dall’ipotesi di realizzazione di un parco eolico a Santo Stefano di Sessanio attraverso un accorato documento diffuso tra istituzioni e associazioni. Si è anche impegnato negli anni scorsi per raccogliere 25mila euro in favore del teatro La Fragolina nel comune di Fossa, danneggiato dal terremoto del 2009.
La sua mostra ha il merito di illustrare con sensibilità umana e artistica paesaggi, borghi, eremi, spesso al di fuori dei sentieri maggiormente battuti, con uno sguardo che appare sempre rispettoso e addirittura solidale per gli uomini e le donne che con le loro attività mantengono ancora viva e ospitale la montagna abruzzese.
Deve far riflettere come un simile insieme di valori e di risorse ambientali continui a caratterizzare l’immagine positiva della regione oggi, pur in assenza di specifiche politiche promozionali da parte delle competenti istituzioni locali.