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Martedì, 04 Aprile 2023 11:33

Italia/minori: ancora 336 mila a lavoro. Ecco in quali attività, le cause e le gravi conseguenze.

Il livello d'istruzione della madre è influente significativamente, lavorare troppo presto potrebbe compromettere il futuro del minore; abbandono scolastico e Neet.

Gravissime le conseguenze secondo Save the children del lavoro minorile, abbandono scolastico e Neet: dai dati si evince, infatti, che la percentuale di minori bocciata durante la scuola secondaria di I o di II grado è quasi doppia tra chi ha lavorato prima dei 16 anni rispetto a chi non ha mai lavorato.

La crisi economica e l’aumento della povertà in Italia, basti pensare che sono 1 milione 382 mila i minori che vivono in povertà, il 14,2% del totale, rischiano di far crescere il numero di minori costretti a lavorare prima del tempo, spingendone molti verso le forme di sfruttamento più intense. Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani ‘NEET’ (Not in Education, Employment, or Training), alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra 15 e 29 anni in questa situazione in Italia sono più di 1 milione e 500mila nel 2022, il 19 % della popolazione di riferimento, con un valore in Europa secondo solo a quello osservato in Romania.

In Italia si stima che 336 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni - pari al 6,8% , quasi 1 minore su 15 - abbiano avuto esperienze di lavoro. E il 27,8% dei 14-15enni (58.000 adolescenti) che dichiarano di aver avuto un'esperienza di lavoro, ha svolto lavori dannosi per i percorsi scolastici e per il benessere psicofisico. L'indagine di Save the Children, riproposta a distanza di 10 anni, fa notare che sono ancora molti i ragazzi e ragazze coinvolti in attività lavorative prima dell'età consentita per legge (16 anni) . Tra i 14-15enni, 1 su 5 lavora o ha lavorato e, tra questi ultimi, più di uno su 10 ha iniziato a lavorare a 11 anni o prima.

Secondo l'indagine dell'organizzazione i settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono: la ristorazione (25,9%), la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Ma emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.

I motivi.

Si legge nel rapporto Save the children che tra i motivi e le cause che spingono ragazzi e ragazze ad intraprendere percorsi di lavoro ci sono l’avere soldi per sé, che riguarda il 56,3%, la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori, per il 32,6%. Non trascurabile sono i 38,5% di chi afferma di lavorare per il piacere di farlo.

C'è un punto del report da tenere in considerazione come priorità, il livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre, perchè è significativamente associato al lavoro minorile. La percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è significativamente più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro, un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione.

La maggioranza dei minori, ovvero il 53,8% che dichiara di aver lavorato durante l’ultimo anno o in passato, ha iniziato dopo i 13 anni, mentre il 6,6% prima degli 11 anni. Circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono di genere maschile (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio.

Sono state inoltre realizzate interviste ad alcuni testimoni privilegiati, tra cui rappresentanti di istituzioni, organizzazioni sindacali e università che a diverso titolo operano nell’ambito dell’educazione, del lavoro e degli affari social, per i quali le cause principali del lavoro minorile sono associate ai contesti familiari e socioeducativi in cui i minori vivono, a partire dalla condizione di povertà ed esclusione sociale.

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